31 luglio 2008

DURA L'EX, SED L'EX

L'EX direttore del C.S.C. della Società Umanitaria di Cagliari, Salvatore Pinna, ha recentemente omaggiato il pubblico sardo di alcuni suoi interventi sulla Cineteca Sarda (leggi l'ultimo intervento di Salvatore Pinna). Si può essere indotti a pensare che essendo stato protagonista di una parte importante della storia della Cineteca Sarda quello che scrive sia rispettoso della verità storica. In realtà non è così: smascherare alcune falsità riportate dai suoi interventi sarebbe facile come sparare sulla Croce Rossa. A parte le cose non vere, è ovvio che per tutto il resto ognuno ha diritto alle sue opinioni e anche Salvatore Pinna ha diritto di cambiare idea, fino a smentire quanto sosteneva e scriveva poco tempo fa. Per capire meglio - e anche per guardare con un po' di tenerezza e generosa comprensione alle ragioni che stanno dietro gli interventi dell'ex - riportiamo per intero le ultime due pagine del saggio che Salvatore Pinna ha pubblicato nel recente volume pubblicato dalla FICC e dedicato alla figura di Fabio Masala, intitolato appunto Fabio Masala. Una vita per il nuovo pubblico, che è stato presentato nel salone della Cineteca Sarda di Cagliari nel gennaio del 2006. Si tratta delle pagine 41 e 42 di un testo firmato da Salvatore Pinna e Salvatore Figus, ma che in realtà tutti sanno essere stato scritto integralmente dal primo. È sottolineato in rosso il passo in cui si misura in modo più radicale quanto possono cambiare le idee in poco tempo. Ma a ciascuno il suo: se a Pinna piace citare e assumere come modello ermeneutico Francesco Cossiga, noi continueremo a citare e fare riferimento a Fabio Masala, che in materia di cineteca e politica culturale ha ancora molto da insegnare.


«Che idea sorpassata: una Cineteca che raccoglie e presta film e attrezzature, che distribuisce schede, che forma animatori. Perché mai se la liberazione dello spettatore (e del cittadino si presume) può avvenire per le stesse "dinamiche interne" alle società occidentali indotte dagli avanzamenti tecnologici, e quindi dai meccanismi auto-espansivi del mercato.

Strani personaggi, quelli che, come Fabio Masala, credevano in una vecchia forma distributiva che richiede una presenza, un andare e un venire, un contatto tra persone. Si rispondeva, non sempre trovando un ascolto pensoso, che era indispensabile un controllo sociale organizzato dei processi di produzione, distribuzione e consumo della cultura e dell'educazione. Perché è sul ribaltamento delle "pure" logiche del mercato, che si gioca il futuro degli audiovisivi, il loro potenziale di emancipazione e di sviluppo della creatività sociale. E nel passaggio dalla virtualità tecnica all'effettività politica e culturale che si decide il destino della democrazia. Come affermava Filippo De Sanctis, grande costruttore insieme a Fabio Masala della Cineteca, "L'obiettivo di un esercizio collettivo dei processi informativi non è tecnologicamente utopico, né socialmente impraticabile: esso è politicamente e culturalmente arduo". Tutto qui, si potrebbe aggiungere.

Un'istituzione che pensi diversamente

Ripetiamo la domanda: ci sarà una Cineteca come l'avevano sognata i fondatori? Bisogna credere ottimisticamente che ci sarà. Ma è diffìcile immaginarla. Come si è detto non si riesce a intravedere una dimensione politica del progettare. Non si riesce a immaginare in quale istanza o manifestazione della politica attuale, scorgere quell'investimento di fiducia nella costruzione, diffusa e partecipata, della vita democratica e dell'economia. Deve esistere ancora ai nostri conti, quell'agente esterno, di indispensabile stimolo, che è stata la Società Umanitaria. Quel modo di "pensare diversamente", di istituzione non governativa che ha sperimentato esempi e prototipi, e che ha interagito proficuamente con l'ente pubblico non deve rischiare di scomparire.

Il potere, niente di meno che il potere

Si vedono movimenti in campo che non promettono niente di buono. Essi sembrano segnalare una specie di infatuazione per le parole {non basta dire cineteca) e l'isolamento, dalla globalità della politica culturale educativa di cui si è parlato, di settori specialistici. Sarebbe un male se venissero realizzati nel nome di Fabio Masala. Si è già detto dell'indissolubile collegamento di audiovisivi, associazionismo, formazione. Non c'è tempo moderno che possa espungerli da una politica culturale così come l'avevano immaginata, anche per il futuro, i grandi fondatori. Si deve dire anche della ragionata avversione che Fabio Masala nutriva per gli specialismi e i settorialismi.

Vale per Fabio Masala quello che egli disse, nel 1990, su Filippo De Sanctis. Egli sottolineava, con riferimento particolare all'ultimo periodo dell'impegno professionale di De Sanctis, il suo non rinchiudersi negli specialismi e quindi neppure nel cinema e nella televisione. E ne rimarcava la scelta di rivolgersi al grande nuovo pubblico "anche" del libro (Pubblico e biblioteche), della musica, dei musei, del teatro, della poesia (Progetto Prato). Rinchiudersi negli specialismi, diceva Fabio Masala citando Asimov, "avrebbe comportato la conseguenza di arrivare ad una perfetta ignoranza di tutto quanto esiste al mondo tranne che per una limitatissima sezione di niente". Un'altra frase significativa, non solo degli ampi interessi culturali, ma anche dei riferimenti etici di Fabio - ancora a proposito degli specialismi - la trasse dalla Simone Weil dei Quaderni: "Se in una materia qualsiasi si conoscono troppo cose, la conoscenza si muta in ignoranza, oppure occorre elevarsi a un'altra conoscenza".»

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Potrei contribuire alla causa della mia denigrazione essendo io persona bene informata dei miei molti misfatti. Ma è una soddisfazione che lascio alla vostra “redazione” alla quale non mancherà voglia e occasione.

Però non vi capisco. Avete scelto per denigrarmi un brano che mi da ragione e che forse non avete letto con attenzione nell’ansia di menare botte da blog. In questo menare, con una bordata di fuoco amico, avete centrato il vostro direttore regionale che accusate, nientedimeno, di firmare scritti miei.

Che tecnica sopraffina. Avete sacrificato il vostro Sansone per il gusto di vedere perire l’unico filisteo reo di non avere firmato la petizione e di esprimere idee critiche e sul convitato di pietra milanese.

E intanto Tore Figus è costretto a leccarsi le ferite. Da innocente, vi assicuro, perché so (non posso essermi ingannato su di lui per quarant’anni!) che è migliore delle idee che professa attualmente e anche voi lo siete.
Per questo non vi serbo rancore, amici miei, piccoli, comici, spaventati (ex) guerrieri. Non vi serbo rancore anche perché nel vostro “redazionale” avete persino esagerato in complimenti. Per prima cosa concedendomi l’onore della prima pagina come un Clemente o uno Jacob. E poi riconoscendomi, sin dal titolo, qualità di ex che dura. Che Dio mi conservi (e mi scuso della citazione).

Non spero più di ricevere risposte concrete e ragionate ai problemi che ho cercato di porre nei vari interventi che ho fatto (senza ricorrere mai all’insulto personale) sul vostro blog, in sala Cosseddu, sull’Altra Voce, sulla Nuova Sardegna. Se, come penso, le vostre aderenze politiche funzioneranno vincerete. Sarà un bel risultato portarsi dietro, per chissà quanto tempo ancora, l’Umanitaria milanese e perpetuare, in Sardegna, una pratica di finanziamento dell’iniziativa culturale dispendiosa e iniqua!

Vorrei dimostrarvi la mia tranquilla affettività, suggerendovi di titolare questo intervento alla maniera di Zanda. Cioè: Il fuoco amico delle foglie di fico ha colpito il Figus.

Anonimo ha detto...

Caro Salvatore:
"Avete scelto per denigrarmi un brano che mi da ragione": ma allora dov'è la denigrazione? Forse pensi ad una intenzionalità denigratoria? Assolutamente no, visto che si riporta integralmente e senza alterazioni un testo firmato. C'è solo l'esigenza di far capire che col tempo le idee cambiano. Basta avere il coraggio di riconoscerlo senza arrampicarsi sugli specchi per sostenere una continuità di idee che palesemente non c'è più.
Ma quello che si capisce di meno nel tuo nervoso commento è l'artificio retorico di trovare in Figus una vittima del "redazionale" e soprattutto lo scomposto tentativo di metterci l'uno contro l'altro. Ricordo come fosse oggi quanto hai insistito con lui perché firmasse il tuo scritto semplicemente per venire incontro al tuo bisogno di testimoniare la sua condivisione di quei contenuti. E Salvatore Figus - ma l'avrei fatto anche io in questa prospettiva - ha cofirmato per condivisione. Come io condivido quello scritto e potrei firmarlo anche io oggi. La logica è la stessa che accettano coloro che firmano la petizione senza aver contribuito a scriverne materialmente il testo.
Un ultimo appunto per sottolineare ancora una volta che dici cose non vere quando definisci "una pratica di finanziamento dell’iniziativa culturale dispendiosa e iniqua!" il meccanismo di finanziamento al nostro centro. Qui in sede ci sono pronte per la visione di tutti le numerose relazioni annuali indirizzate alla RAS, firmate da te, che sostengono con passione e lucidità esattamente il contrario.
Mi dispiace infine aver riscontrato nei tuoi interventi proprio quell'astio che tu rimproveri alle risposte. Dispiace ancora di più quando scrivi che non ci sono state risposte concrete ai tuoi ragionamenti solo perché le risposte sono state diverse da quelle che tu avresti voluto sentire. In tante occasioni le risposte non sono mancate, nel blog e soprattutto durante l'incontro all'ERSU.
Allora forse è meglio fare una leggera autocritica: quando si lamenta l'assenza di un ragionamento-risposta prova a chiederti se il tuo ragionamento-domanda era formulato adeguatamente. Perché quello che sento mancare nei tuoi interventi è un ragionamento articolato "tuo" che non sia solo un appiattimento su disegni politico-culturali farraginosi abbozzati da altri.
Caro Salvatore, in conclusione: adesso basta con questo gioco al massacro. Da parte nostra aspetteremo e interverremo solo rispondendo alle risposte ufficiali della RAS all'unica cosa concreta che ha senso e che abbiamo chiesto dall'inizio: la disponibilità al dialogo e la volontà politica di non buttare nella spazzatura oltre 40 anni di storia.
Con stima irriducibile ti saluto
antonello zanda

Anonimo ha detto...

Il dibattito è aperto! Ed è aperto un po’ perché è stato chiesto di aprirlo, un po’ perché ci tocca in prima persona e da operatori culturali vogliamo dire la nostra su qualcosa che ci appartiene (e se non ci appartenesse diremmo semplicemente “arrangiatevi!”), un po’ perché riguarda/comporta una risorsa per la nostra comunità e vogliamo tutelarla/verificarla questa risorsa. Il dibattito è aperto e questo comporta che si possa/debba intervenire e intervenendo si dica quanto si ritiene di voler dire, argomentando, fornendo dati, ragionando, criticando, esprimendo punti di vista in disaccordo, ecc. ecc. Che dibattito è quello in cui sono tutti d’accordo e la forza della dialettica non conduce a sintesi produttive e costruttive? D’altra parte questo un tempo era un principio portante del metodo Cineteca Sarda, il dibattito articolato e complesso, anche appassionato, dialettica intesa in senso marxiano (o anche ejzenštejniano, se preferiamo) – non amore e pazienza, scusami Romano – per giungere a una sintesi che recepisca i diversi punti di vista e li superi.

Salvatore Pinna pone un problema, e lo pone esplicitamente già da tempo, e questo problema andrebbe affrontato. Anche perché non è il solo a porlo questo problema, e lo pone con l’autorevolezza di chi ha lavorato nella struttura per decenni anche come direttore. D’altra parte il modo migliore per tacitare Pinna è quello di dimostrare che quanto lui dice si basa su presupposti errati e di conseguenza non è sensato. È chiaro che il brano citato, cerca di distrarre dal problema posto e peraltro non evidenzia né una contraddizione né un cambiamento di punto di vista (che magari c’è stato ma non è quel brano a dimostrarlo): basta leggere, anche senza troppo impegno intellettuale, per capire che Pinna lamenta un’assenza ed esprime un bisogno, infatti dice: “Deve esistere ancora ai nostri conti, quell'agente esterno, di indispensabile stimolo, che è stata la Società Umanitaria”. Dice “che è stata”, non “che è”, cioè coerentemente con altri suoi interventi, si riferisce a un passato in cui l’ente milanese ha svolto un ruolo di propulsore, non a un presente (e da questo punto di vista suggerisco anche un altro articolo di Pinna: http://www.altravoce.net/2008/07/29/umanitaria.html). Ma la lettura del brano di Pinna citato suggerisce un problema su cui non sarebbe male riflettere: perché questo movimento che si è creato intorno alla petizione invece che chiedere generiche salvaguardie di un esistente dai contorni incerti e labili non propone delle riflessioni un minimo approfondite in una prospettiva futura? Quale idea per la cineteca del nuovo millennio? La stessa pensata quarantacinque anni fa dal gruppo guidato da Fabio Masala e Filippo De Sanctis? Come rapportarsi all’avanzata velocissima delle nuove tecnologie? Spunti per un altro blog…

Non credo abbia senso quindi trasformare un dibattito che tocca la collettività in polemica personale: se Pinna avesse cambiato idea sarebbero fatti suoi, ciò che mi interessa è la risposta al problema che lui pone; se Figus firma gli articoli che gli scrivono altri, la cosa proprio non ci appassiona, riguarda solo la sua persona e la sua professionalità.

Credo sia opportuno riportare il problema nel binario giusto, quello che ci sta più a cuore in questo momento: far sì che l’esperienza della Cineteca Sarda prosegua nella Cineteca Regionale.
Abbiamo chiesto che Umanitaria e Regione avessero un incontro. È stato fatto fisicamente il 10 luglio alla sala Cosseddu dell’ERSU. Non mi è piaciuto, soprattutto non mi sembra si sia ottenuto molto (e darei la responsabilità di questo a chi ha organizzato l’incontro e a come lo ha organizzato). Ma forse è solo l’impressione di uno che non ha grande dimestichezza con le strategie della politica/partitica.
Insisto su due cose: 1) la Cineteca Sarda deve essere salvata; 2) la Cineteca Sarda è altro dalla Società Umanitaria. Indi: non necessariamente per salvare la Cineteca devo mantenere (il termine è usato in tutte le sue accezioni) l’Umanitaria in Sardegna. Allora il problema che pone Pinna mi interessa non tanto per le conclusioni a cui lui arriva, ma per alcune delle domande che il suo ragionamento pone: come contribuisce la Società Umanitaria alla nascita della Cineteca Regionale? Ha senso ed è utile continuare a sostenere la presenza della Società Umanitaria in Sardegna? Sono due problemi strettamente legati a cui mi sembra nessuno ha ancora dato risposta. Gli unici che ci hanno provato nel blog hanno argomentato da nostalgici parlando di un’età dell’oro trapassata remota, oppure hanno usato assiomi. Nell’incontro del 10 luglio richiamato prima, il presidente nazionale Amos Nannini non lo ha detto, come non lo ha detto il suo delegato locale Tore Figus, entrambi hanno parlato, parlato, parlato, hanno citato eventi dell’inizio del secolo scorso, hanno confuso (anche intenzionalmente) qualche data e qualche dato, hanno cercato di giocare con le informazioni negando l’evidenza dei fatti… ma alla questione di fondo non hanno risposto.
Per il nuovo organismo la Regione mette i soldi, mette le strutture e gli spazi, è disposta a prendere in carico il personale del centro (che è poi ciò che concretamente si porta dietro il know how, togli Peppetto e se ne va la memoria tangibile) e di conseguenza a garantire la continuità ideale con la Cineteca Sarda. Non ci ha fatto conoscere i programmi nei dettagli, questo è vero, ma esiste un progetto articolato (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_27_20060828133312.pdf) e già l’altro non mi sembra poco.
Cosa mette invece l’Umanitaria? Da tecnico non darei molto valore alle pellicole, sia perché una parte (quella più consistente e interessante) è di proprietà della Regione, sia perché un’altra parte è composta da 16mm in pessime condizioni. Certo, qualcosa di valore c’è, ma sempre molto relativo.
E poi? Mette in gioco specifiche professionalità? Negli ultimi anni ha fatto tutt’altro, ma magari ha deciso di cambiare e allora sentiamo le intenzioni. Mette danaro? Anche qui, oltre a far girare i soldi della Regione in questi anni non sembra che abbia fatto molto, ci sbagliamo? Smentiteci con i dati. C’è qualcosa di nuovo? Ditecelo!
E comunque non mi accontenterei di questo. Vorrei anche sapere, per confermare la fiducia in questo ente e quindi capire se vale la pena di sostenerlo, come sta operando ora, per esempio nella gestione di quella Cineteca Sarda che tutti noi abbiamo costruito.
Potrebbe essere interessante per esempio sapere come gestisce il personale, quale trattamento economico gli riserva, che tipo di contratto applica ai suoi dipendenti locali (chissà che lauto stipendio prendono i bravi Pilleri, Zanda e Vacca per quello che noi [NOI!] riteniamo un lavoro fondamentale per la vita della Cineteca Sarda – magari lo confronterei con quello che percepiscono i dipendenti degli altri centri di servizi culturali gestiti dall’UNLA), quali politiche del lavoro, incentivi alla formazione, all’aggiornamento professionale e allo studio fondamentali per chi lavora in una cineteca. Quale lo spessore delle direttive culturali (eh sì, perché se io mi rivolgo all’esterno per far gestire una struttura culturale che opera in Sardegna devo sapere quanto chi arriva da fuori arricchisce quello che non sarebbe arricchito se lo gestissi io). Sarebbe anche curioso sapere come la Società Umanitaria premia la qualità del lavoro e come valorizza le competenze e le professionalità interne… Non lo dico per fare i conti in tasca a qualcuno, semplicemente perché se i 200 mila euro che mette la Regione fossero i soli a coprire le spese e il cervello che fa quadrare il bilancio, cura le strategie operative, definisce le politiche culturali della struttura fosse cagliaritano non si capirebbe proprio perché la gestione burocratica e il controllo del danaro debba passare attraverso Milano e la mediazione di un direttore regionale che comporta solo dispersione di risorse. Insomma diteci quale vantaggio concreto c’è oggi a mantenere (“far prosperare” dice il presidente Amos Nannini) in Sardegna la Società Umanitaria. E ribadisco l’oggi, così evitiamo le nostalgie naif che portano a confondere il “come eravamo” con il “come siamo”. Risposte concrete e dati, altrimenti la polemica (e tutto il dibattito) è aria fritta e non serve a niente. Siamo operatori culturali, non politicanti, la finirei con i giri di parole.
Antioco Floris

Anonimo ha detto...

Caro Antioco,
Cineteca Sarda dell'Umanitaria o Cineteca della Regione Sarda; che differenza fa?
Nella mia esperienza personale, ad esempio, se i rappresentanti dei circoli della FICC hanno bisogno di fare una riunione di sabato o di domenica - quando gli uffici pubblici (di solito) sono chiusi - nella sede della Cineteca Sarda possono farla, gratis.
E questa è una bella differenza.
Chi usufruisce della sala del Centro di Servizi Culturali dell'Umanitaria per proiezioni o altre attività non paga nulla, che io sappia (se avete informazioni diverse smentitemi, capisco meglio, non mi offendo), nemmeno gli straordinari dei dipendenti dell'Umanitaria che tengono la sede aperta anche oltre mezzanotte anche se il turno di lavoro finirebbe - al massimo - alle 20.00 (e che io sappia non li paga nemmeno la Regione).
Anche questa è una bella differenza.
Questo - nella visione di chi è utente - caratterizza la Cineteca Sarda/Società Umanitaria.
Di fatto i dipendenti sardi dell'Umanitaria (non della Regione)fanno per la Sardegna (non per Milano) un valido lavoro sottopagato - mi pare, Antioco, che tu possa concordare con questo - perché si riconoscono negli obiettivi di crescita culturale diffusa che, col proprio lavoro, all'interno dell'ente, possono perseguire.
Quello che in tutto questo discutere non mi è chiaro e se c'è - a tuo avviso - una parte dei 200000 euro, pagati dalla Regione all'Umanitaria come compenso per la gestione del Centro di Servizi Culturali di Cagliari che non viene utilizzata per il funzionamento del Centro e viene, invece, trattenuta a Milano (a me non risulta).
Io credo che, a prescindere dai direttori che si son succeduti (senza prenderci per i fondelli, io credo che Fabio fosse meglio ma lo credo perché era mio padre), il Centro di Servizi Culturali di Cagliari dell'Umanitaria abbia prodotto una mole di iniziative che ripaga noi sardi dei soldi spesi per averlo. Ribadisco che sono fermamente convinto che ciò è stato vero quando il Centro era diretto da Fabio, è rimasto vero quando il centro è stato diretto da Salvatore ed è vero oggi, quando il centro è diretto da Antonello.
Antioco, davvero vuoi dirmi che - a parità di salario - avresti fatto per la Regione lo stesso lavoro che hai fatto per l'Umanitaria?
Se la risposta è negativa - e io sono convinto che per molti di coloro che hanno collaborato con l'Umanitaria in questi anni (visto che mi chiamo Masala, lo ribadisco: intendo anche dopo il dicembre 1994) la risposta sia negativa - di fatto la collettività ha risparmiato.
Ed ha avuto sevizi che altrimenti non sarebbero stati disponibili.
È questo che stiamo difendendo.
Antioco, giusto o sbagliato, lo ripeto ancora una volta, non credo che tu ti sia impegnato - da dipendente dell'ERSU - a rendere accogliente una casa dello studente come - da parasubordinato dell'Umanitaria - hai fatto nella sede di Viale Trieste (e non c'era più Fabio e non c'era più Filippo, forse anche tu sei stato nostalgico e idealista?).
Mi dirai per una casa dello Studente non c'è bisogno che un ricercatore si 'improvvisi' manovale perché gli investimenti ci sono, ci sono le risorse... ma è precisamente questo uno dei punti più importanti in discussione.
Salvatore sembra dire (ma posso aver interpretato erroneamente o in modo malevolo) che oggi l'Umanitaria ruba ai sardi. Come? Dove? E, soprattutto, chi?
Io credo che i soldi spesi per la Cineteca Sarda gestita dall'Umanitaria siano soldi ben spesi.
La grandezza e il limite del Centro di Servizi Culturali di Cagliari della Società Umanitaria è la dimensione semi-militante, di cui si possono dire molti mali, ma, dal punto di vista delle istituzioni e dei contribuenti, secondo me (smentitemi se potete dimostrare che ci sono molti enti regionali che fanno altrettante cose, altrettanto utili, con meno soldi) la dimensione semi-militante ha comportato una riduzione e non un incremento dei costi.
Tutto questo la Regione lo sta veramente valutando in modo corretto?
Non mi pare ma posso sbagliarmi.

Mau

Anonimo ha detto...

Caro Maurizio,
sono d’accordo su quanto scrivi. Nella sostanza, per lo meno, anche se non in tutti i dettagli. Per esempio penso che il servizio richiesto alla cineteca regionale debba essere proprio un qualcosa in più del semplice far usare la sede gratis quando gli uffici sono chiusi (questo, peraltro, lo fa anche l’ERSU, ugualmente gratis. Chiaramente lo fa per gli studenti, ma è comunque un esempio concreto di qualcosa che anche gli enti pubblici sanno fare quando vogliono farlo). La cosa che però continuo a non capire è perché tu non vuoi vedere che questo servizio non ti è dato dall’Umanitaria in quanto ente gestore di un servizio, ma ti è dato dal singolo operatore del CSC. Infatti è lui che decide di fare per serietà professionale un qualcosa nonostante il suo datore di lavoro abbia scelto di non pagarlo per quel servizio (si tratta di una scelta precisa, come lo è anche quella di non pagare gli straordinari, ed è una scelta dell’amministrazione centrale dell’Umanitaria, non della Regione che mette i soldi ma non decide come spenderli – confronta le disparità di trattamento con i dipendenti dei CSC UNLA di Oristano e Macomer). Il problema non è che l’Umanitaria “rubi ai sardi”, ma che oggi l’Umanitaria “forse” è inutile e anche dannosa per i sardi. Per togliere questo “forse” (in bene o in male) bisognerebbe dare risposta alle domande che ponevo nell’intervento precedente. Ma pare che in tal senso niente si muova all’orizzonte. Allora mi domando: non è che le risposte potrebbero aprire scenari addirittura peggiori di quanto traspare dalle domande?

Infine, una precisazione a proposito di un altro aspetto su cui ti sbagli. Io nell’aprile del 1998 sono stato licenziato (il termine non è corretto, ma esprime bene la sostanza del concetto, se ritieni posso essere più preciso) dall’Umanitaria di Cagliari. Sono andato dunque a lavorare all’ERSU, dove ho coordinato per qualche anno le attività culturali, e a insegnare all’università. Ebbene, in entrambi i posti ho lavorato con lo stesso spirito con cui ho sempre lavorato in Cineteca. Certo nei nuovi lavori non c’era bisogno di fare il muratore o l’elettricista – come invece ho dovuto fare quando abbiamo costruito la sede di viale Trieste – ma non mi sono mai tirato indietro quando c’era da fare qualcosa di pesante come anche non ho mai spaccato il minuto seguendo il canonico orario d’ufficio. E questo perché – e qui ti sbagli molto caro Maurizio – ciò che ho imparato in 15 anni di Cineteca non è stato solo un metodo del lavoro culturale, ma anche una precisa idea di come un lavoro culturale si debba svolgere, e la qualità del lavoro, lo spirito con cui ti avvicini al lavoro non può essere condizionato dal luogo in cui operi.

Caro Maurizio, sono d’accordo con te su tutto quello che si deve salvare della Cineteca, ma non capisco, insito!, perché bisogna anche tenersi l’Umanitaria.

Io sono veramente convinto che invece di rincorrerci dietro questi problemi, ora dovremmo dedicare un po’ di risorse mentali per riflettere su quale debba essere oggi, di fronte alle nuove tecnologie e tenendo conto dei cambiamenti sociali, il ruolo dell’operatore culturale di audiovisivi in Sardegna. Non possiamo nasconderci dietro un dito fingendo che niente è cambiato da quando a metà anni sessanta è stata pensata la Cineteca Sarda. I principali artefici del processo sono morti ormai da anni, Filippo De Sanctis nell’89, Fabio Masala nel 94. In questi anni è successo di tutto. Ma non bisogna trascurare che anche loro, attenti osservatori della società, si ponevano problemi di un continuo “aggiornamento” che li portasse a essere in sintonia con i cambiamenti sociali. Pensiamo solo all’evoluzione della Cineteca Sarda da semplice cineteca del pubblico, quasi priva di film, a cineteca di conservazione aderente alla FIAF. Un cambiamento epocale voluto/accettato/costruito da Fabio. Il tema dell’incontro del 10 luglio alla sala Cosseddu secondo me va ripreso seriamente e sviluppato andando oltre la pseudoriflessione aperta in quell’occasione: quale futuro per la Cineteca Sarda e quale cineteca per il futuro della Sardegna. Su questo dovremmo interrogarci e riflettere. Bene, perché le energie emerse da questa sottoscrizione pro cineteca non le mettiamo a lavorare per ragionare senza preconcetti sulla cineteca dei prossimi decenni? Io credo sia questa oggi la vera sfida che dobbiamo affrontare.
Con molta cordialità,
Antioco